Mettendo ordine nei vecchi post, ho trovato questo che avevo scritto parecchi anni fa, e che non ho mai pubblicato, non so se per pudore, o per quale altro motivo.
Rileggendolo mi accorgo che purtroppo é sempre attualissimo, storie di razzismo sono ancora oggi all'ordine del giorno, per questo motivo ho deciso di pubblicarlo.
Sono consapevole che non servirà a cambiare la mentalità di chi fomenta l'odio, e non redimerà di sicuro nessuno che ha idee razziste, ma io, nel mio piccolo ringrazio perché le mie radici mi hanno permesso di essere la persona che sono e mi auguro di aver trasmesso questi miei ideali anche alle mie figlie.
Domenica 27 gennaio, come tutti gli anni era la giornata della memoria.
Ogni anno la si ricorda sui blog, in facebook, sui giornali.
Alla televisione domenica, sia nel pomeriggio che in serata, c'era l'imbarazzo della scelta sui film o documentari che parlavano della Shoà.
Ci sono parecchi libri che parlano di questo tema, la cosa che più mi ha colpito è che la biblioteca della scuola media ne sia piena.
Una mamma mi ha raccontato che la sua figlioccia di quarta elementare ha avuto quest'anno come testo di lettura "Il bambino con il pigiama a righe"
Mi chiedo se a quest'età, con i privilegi che hanno al giorno d'oggi, possano rendersi conto della portata di questa tragedia, come forse non riusciamo nemmeno noi quarantenni-cinquantenni a capire fino in fondo.
Parlando con alcune ragazze dell'età di mia figlia maggiore, 17-18 anni, ho come avuto l'impressione che sia per loro una materia di storia, come la rivoluzione francese o quella russa, qualcosa che hanno imparato sui libri di scuola.
Nel mio piccolo dico che è giusto ricordare, ma mi rendo anche perfettamente conto che in questi quasi 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale non abbiamo imparato niente (intendo noi come umanità in generale) in quanto in parecchie, troppe!, parti del mondo si stà ancora combattendo.
Cosa vuol dire per me la seconda guerra mondiale?
Vuol dire una parte di famiglia che non c'è, che non ho mai conosciuto e di cui ho ricevuto solo qualche breve accenno.
Vuol soprattutto dire una grossa curiosità per questa mia parte mancante : chi erano ? cosa facevano? ma principalmente cosa è successo?
Parto dall'inizio di questa storia tragica, che poi si è trasformata in una storia d'amore.
Mio nonno Pawel è nato nel 1908 in un paesino sul confine fra Polonia, Ucraina e Bielorussia, a seconda del periodo storico il suo paese apparteneva ora a una ora all'altra nazione.
Quando aveva poco più di 30 anni tutta la sua nazione cominciava ad essere sotto il dominio di Hitler, e lui decise di raggiungere un fratello che lavorava in un ristorante in Francia.
Arrivato alla dogana Svizzera venne fermato e condotto in un campo di lavoro a Losone, dove conobbe mia nonna che viveva e studiava presso una famiglia di Locarno.
Nel 1943 nacque mio zio Paolo, ma mio nonno era sempre internato nel campo di lavoro, e ben presto fu trasferito vicino a Zurigo.
Conservo ancora diverse lettere molto struggenti che scriveva a mia nonna, nel frattempo tornata a vivere con il bimbo presso i genitori, nelle quali le chiedeva notizie su di lei e sul loro bambino che aveva avuto l'occasione di vedere pochissimo.
Finita la guerra, si sono sposati, e mio nonno è diventato per tutta la gente della zona "ol polacc", il polacco, riuscendo a farsi benvolere da tutti, cosa forse non facilissima se si pensa che era uno dei pochissimi stranieri di tutta la zona.
Uomo di grande cultura, parlava parecchie lingue e faceva il calzolaio, non so se per formazione o se per scelta.
Ben presto la famiglia aumentò, fino ad avere 8 figli, da quello che raccontano loro era un padre meraviglioso.
Da parte mia posso solo dire che era un nonno fantastico, sono stata la prima nipote e nonostante siano passati parecchi anni da quando non c'è più, me lo ricordo ancora come se fosse stato ieri.
Della sua vita prima di arrivare in Svizzera le notizie sono pochissime, nemmeno a mio nonna, sua moglie, aveva raccontato granchè.
So la zona da dove veniva, ma non il nome esatto del paese, so che la sua mamma si chiamava Anna e così ha chiamato la sua prima figlia femmina, so che aveva fratelli e sorelle ma che non ha mai preso contatto con loro dopo la guerra, e questo secondo me voleva dire che sapeva che non c'era nessuno da contattare.
Parlava in francese con mia nonna, in tedesco con i figli e in un italiano un po' così con noi nipoti.
Parlava polacco solo con gli amici polacchi che erano stati con lui nei campi di lavoro, ricordo Cazimiro e altri due, di cui purtroppo ho scordato il nome e ricordo padre Bernardo che ha sposato i miei genitori.
Quando mia mamma rimase incinta di me a 18 anni, lui le disse che per lui non era un problema, aveva cresciuto 8 figli era disposto a crescerne ancora, e che lui l'avrebbe sempre aiutata, e così fece visto che ho passato i miei primi tre anni trascorrendo tutta la giornata con mio nonno visto che i miei genitori lavoravano, poi ho cominciato l'asilo, ma ho passato i successivi due anni e mezzo in sua compagnia appena potevo.
Sono nata in una famiglia molto numerosa, mia mamma aveva 7 fratelli e mio papà 4, e tra zie, zii e cugini siamo sempre stati una flotta.
Quando ero piccola mi chiedevo com'era possibile che lui fosse solo, ma forse notando una sua ritrosia a parlare del "prima" evitavo di chiedere.
A quell'età comunque non avevo ancora tutta la voglia di sapere che ho adesso.
E dopo, quando chiedevo a mia nonna perché lei non avesse insistito per sapere mi rispondeva con una frase che le diceva sempre lui :
"Non è che voglio dimenticare, ma fa troppo male ricordare".
Questa frase mi fa molto male e mi chiedo cosa non voleva ricordare, anche se lo posso immaginare, cosa ha dovuto vedere, sopportare?
Cosa ha dovuto abbandonare per sopravvivere?
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