Eva Weaver
pag. 274
Ed. A. Mondadori
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Ho appena finito questo libro, ho letto l'ultima pagina proprio ora e nonostante io abbia parecchi altri libri di cui parlare, che ho letto prima di questo, voglio scrivere di getto quello che mi ha lasciato, quello che mi ha trasmesso.
Circa un anno fa ero in libreria con mia sorella, che decise di comperare questo libro per Amedea, la mia nipotina e figlioccia, accanita lettrice, che al quarantesimo compleanno di sua madre, alla vista dello scatolone con all'interno 40 libri che le regalammo disse :
"Questo è il regalo più bello del mondo, lo vorrei anch'io"
Il libro era anche in previsione di un viaggio che avrebbero poi fatto a Cracovia.
Mi era sembrato interessante, me l'ero annotato e le avevo chiesto di prestarmelo una volta che Amedea l'avrebbe finito.
Poi me ne sono dimenticata.
Non mi è nemmeno mai capitato di vederlo nei gruppi di lettura.
Sei giorni fa sono uscita a cena con una ex compagna di scuola, ci eravamo perse di vista e poi ci siamo ritrovate circa tredici anni fa, abbiamo due figli della stessa età che hanno frequentato le scuole assieme, anzi, i nostri secondi sono nella stessa classe da ben undici anni, avendo scelto lo stesso percorso formativo.
A cena fra una chiacchiera e una risata, mi dice che mentre aspetta fra un turno e l'altro del suo lavoro legge; per chi è malato di libri come noi, questa è un'esca appetitosa, si comincia a chiacchierare di libri e mi dice che ha appena finito di leggere "Il Burattinaio di Varsavia".
Le dico che mi sarebbe piaciuto leggerlo, lei dice che me lo presta e parliamo d'altro.
Quattro giorni fa, mia figlia arriva a casa e mi da il libro, scherzando sul fatto di essere la mia spacciatrice di libri, visto che spesso prende dalla biblioteca scolastica libri che poi mi passa.
Manca una decina di minuti a cena, la tavola è pronta, e nonostante io abbia altri libri cominciati, leggo una paginetta, così tanto per dare un'occhiata.
La cena è in tavola e io ne ho già lette una ventina, faccio in fretta la cucina per poter riprendere a leggere e non me ne stacco più.
Come si può intuire il libro parla della guerra e della vita nel ghetto di Varsavia, ma non intendo scrivere la trama o fare il riassunto, perché non so se troverei le parole per descriverlo come merita.
Mi ha dato tanto, mi ha fatto divorare un libro dopo un bel po' di tempo, ma non per come è scritto, ma per quello che dice, lo so che gli avvenimenti sono reali ma quello che succede un po' improbabile, l'ho trovato un libro molto "intimo", che mi ha coinvolto molto, facendomi spesso tenerezza e molto più spesso commuovere, facendomi capire come sia stata dura la lotta giornaliera per poter sopravvivere, sia cercando di non farsi uccidere o deportare, ma soprattutto cercando di non lasciarsi schiacciare da tutta la cattiveria, la malignità e le privazioni a cui erano sottoposti ogni giorno.
A trovare ogni giorno la forza per alzarsi, la forza per andare avanti, la forza di cercare del cibo, ma sopra ogni cosa la forza per continuare a vivere.
Molto toccante il senso di colpa che il protagonista prova per essere costretto ad esibirsi e a far divertire i soldati nazisti, da lui definiti ratti, senza rendersi conto che in realtà faceva molto di più, oltre a riuscire ad avere qualche piccolissimo beneficio occasionale, in parecchi casi ha salvato delle vite grazie ai suoi burattini.
Forse ho preso questo libro in modo molto personale, rivedendo nel carattere del protagonista da anziano Mika, tutto il carattere di mio nonno Pawel, nato in Polonia, che all'epoca dell'inizio della guerra aveva 30 anni, e che come il burattinaio, una volta arrivato in una zona di pace, ha preferito non parlare più di quello che è successo.
Il libro si divide in tre parti, una in cui parla Mika il burattinaio di Varsavia, l'altra in cui parla Max il soldato tedesco, la terza è il collegamento fra i due racconti, e mi ha dato la conferma che:
in una guerra non c'è mai nessuno che vince.
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